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Cara Amalia,
rileggo ogni giorno la tua lettera con una grande malinconia.
Sento in fondo all’anima una specie di fiera tristezza, per aver saputo essere crudele con me e forse – perdonami – anche un po’ con te.
Io provo una soddisfazione speciale quando rifiuto qualche bella felicità che m’offre il Destino.
Non già che io temessi d’innamorarmi di Voi (io non sono innamorato che di me stesso; voglio dire: di ciò che succede in me stesso) ma temevo che mi piaceste: ecco tutto
Le donne d’un fascino spirituale come Voi non hanno il diritto d’ essere belle.
Sovente, quando parlate, io dimentico e non seguo le vostre parole, per il gioco attirante delle vostre labbra sane o per la carezza lenta delle vostre ciglia… E questo è male
Già altre volte l’ho confessata la mia grande miseria: nessuna donna mai mi fece soffrire; non ho amato mai; con tutte non ho avuto che l’avidità del desiderio, prima, ed una mortale malinconia, dopo…
Addio, Amalia, senza molta tristezza.
Di lungi vi scriverò ancora quando avrò qualche bella notizia della nostra poesia.
E voi anche. Ma non parleremo della nostra passione e del nostro passato.
La passione è un ingombro al nostro cammino di gloria…
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